E’ lo scandalo comunicativo dell’anno, la notizia del momento che piomba come un macigno sulla convention repubblicana per le elezioni del Presidente degli Stati Uniti d’America del 2016.
Ma il discorso di Melania Trump è stato veramente copiato? Gli esseri umani dicono di sì, le macchine dicono di no. Che significa?
Per capirlo ho realizzato questo video, in cui faccio un’analisi accurata dei discorsi delle due mogli di Trump e Obama. Vedremo anzitutto i due discorsi a confronto. Poi i testi paragonati ed infine l’analisi computerizzata attraverso un software di analisi semantiche di Big data.
Quindi la risposta definitiva è: sì, il discorso di Melania Trump è stato copiato.
Come ho detto nel video, la stessa Meredith McIver dichiara di essere la speechwriter che ha “accidentalmente” (dice) copiato il discorso della moglie di Obama, per scrivere quello della moglie di Trump, Melania.
Meredith mette le sue dimissioni sul tavolo ma i Trump le respingono.
Sì, facile dopo che hanno pubblicato sui social la testimonianza scritta in cui la speechwriter si prende la colpa.
Statement on Melania Trump speech pic.twitter.com/0iWIaFFjZW
— MELANIA TRUMP (@MELANIATRUMP) 20 luglio 2016
Ovviamente questa speechwriter ha fatto qualcosa di gravissimo.
Personalmente ho scritto centinaia di discorsi come speechwriter, e come insegno ai miei allievi la reputazione è tutto. Quella della McIver è finita.
Altre due considerazioni.
Qualcuno ancora si stupisce che ci sia un professionista della comunicazione (chiamato speechwriter) dietro ai discorsi che ascoltiamo. Da oggi forse questo non desterà più sorpresa.
La seconda è l’eterno dibattito sull’opportunità, come politici, di dare la colpa al proprio staff per le gaffe.
La prima cosa che insegno ai nuovo speechwriter è “sii un fantasma“, ovvero non dire mai per chi scrivi e cosa scrivi. E credo che sia squallido che un politico dia colpa allo staff, anche quando è vero.
Tuttavia, qui c’è un errore grave (ed è nella campagna più importante del mondo) per il quale la McIver non merita più di rappresentare la nostra categoria. Quindi, in questo caso, ritengo doveroso il suo passo avanti.
Dai Trump, ripeto, nessuna eleganza. È vero che non l’hanno licenziata (probabilmente i dati dicevano che era sconveniente), ma hanno comunque pubblicato la sua lettera con nome e cognome.